OMBRE E LUCI DAL PASSATO – Capitolo 5
Alex
Una giornata d’inferno, ecco cos’è oggi. Sono in piedi, nel mio ufficio, che guardo fuori dalla vetrata. Sto da schifo, stanotte non sono riuscito a dormire, e stamattina non riesco a lavorare.
Non so che fare, con Emma. Ieri sera, ho cercato di raggiungerla, mentre usciva, volevo provare a parlarle… Poi l’ho visto, appoggiato alla sua schifosissima Z3, stile James Bond, il maledetto.
L’ha caricata in macchina e l’ha portata via, lo stronzo. Ringhio, dentro di me.
Immagini orribili di loro due insieme mi hanno affollato la mente, tutta la sera, tutta la notte ed anche stamattina. È ovvio, mi sto rodendo dalla gelosia, e purtroppo non posso farci nulla.
Poi, sento un bussare lieve, che il mio cuore immediatamente riconosce.
Mi sento morire, non so se dalla felicità o dal terrore di vederla.
– Avanti – dico, continuando a dare le spalle alla porta, tanto so che è lei.
Sento che apre la porta e la richiude. Non dice nulla, odo solo il rumore dei suoi passi.
– Alex – mi sussurra.
Faccio un sospiro, profondo, poi mi volto verso di lei. Cazzo, è bellissima. Mi sento morire.
– Ciao Emma – le dico – Come stai?
– Non molto bene… – mi dice sommessamente.
“Cosa???” mi chiedo terrorizzato “Che cazzo le ha fatto, quel bastardo?”
– Perché? – le chiedo, cercando di mantenere il controllo – È successo qualcosa?
Lei mi guarda, facendo una smorfia.
– Mi manchi. – mi dice.
Mi si scioglie il cuore. Sono tremendamente incazzato, ma lei ha il potere di cancellare tutto, in un istante. La guardo, ha gli occhi tristi, mi sorride dolcemente.
– Anche tu – le dico. Cazzo, se è vero…
– Cosa è successo? Perché ti stai comportando così? – mi chiede.
– Così come, Emma? – le domando. Mi ritorna l’incazzatura.
– Ecco, lo vedi? – mi dice – Sei sulla difensiva, sembra quasi che tu ce l’abbia con me… Se ti ho fatto qualcosa, dimmelo, ti prego… È da quando sei partito per San Francisco che ti sei allontanato da me, e non riesco a capire perché. È successo qualcosa, laggiù?
– No – le rispondo. Che idea assurda. È successo qui, qualcosa!”
– E allora? – mi chiede. È preoccupata, amareggiata, non voglio che si senta così.
– È che sono un po’ fuori fase, ultimamente, ho troppe cose per la testa – le dico, cercando di sorriderle per rassicurarla.
– Vuoi parlarne? – mi chiede.
“Sì, certo… Diciamo che ti amo, e sono geloso marcio di te e quello stronzo. Va bene, così?”
– No, – le dico invece – Non è niente di importante, lascia perdere.
Gira intorno alla mia scrivania, e mi si avvicina.
– Pace fatta, allora? – mi chiede sorridendo – Posso abbracciarti…?
– Certo – le dico, accogliendola tra le mie braccia e respirando il profumo dei suoi capelli.
– Ti va di venire a cena da noi, stasera? – mi chiede improvvisamente – È venerdì, compro delle buone bistecche e ci facciamo una bella insalata, ho anche in frigo dell’ottima birra. Tu porti il dolce.
– Non so, Emma… – le dico, sinceramente – Ho molto lavoro arretrato, forse mi dovrò fermare, stasera. Ti so dire qualcosa più tardi, ok?
– Quindi non ci sei nemmeno a pranzo? – mi chiede, delusa.
– No, ho già ordinato un sandwich – le rispondo.
– Ok… – mi dice, tristemente – Ti lascio, allora, visto che sei così impegnato.
– Ehi – le dico, trattenendola per un braccio – Non ce l’ho con te, ok? È solo… un brutto periodo, tutto qui. Passerà, credimi.
Lei mi sorride.
– Io ci sono sempre, per te… lo sai – mi dice – se vuoi parlare, sono qui, quando vuoi.
“Sì, ciao… parlare… Vorrei fare dell’altro, con te, altro che parlare!” penso amareggiato.
– Grazie – le dico solamente.
Mi saluta ed esce dal mio ufficio.
“Parlare…” penso “Io, certo, che parlo con te… Quello che vorrei fare io, purtroppo, lo sta facendo qualcun altro.”
Emma
Chiudo la porta dell’ufficio di Alex. L’ho ritrovato, ma non del tutto, lo sento.
C’è qualcosa che non va, e non sono tranquilla… sta soffrendo, e non riesco a capire perché.
Mi si spezza il cuore, gli voglio bene da morire, vorrei capire, noi ci siamo sempre detti tutto. Ma questa volta no, lui non parla, ed io ho un brutto presentimento, ho paura di perderlo, e non voglio, è troppo importante per me…
Lentamente, arrivo nel mio ufficio, e mi siedo alla scrivania, abbandonandomi sulla poltrona.
Fisso il vuoto, non riesco a far sparire dal mio cuore questo senso di inquietudine.
Il suono del telefono mi riporta alla realtà.
– Sì, Kate? – rispondo.
– Michael Murphy in linea per te. Te lo passo? – mi chiede.
– Sì, grazie – le dico.
Mi passa la chiamata.
– Pronto?
– Ciao, piccola – mi dice lui con voce sensuale. Sento il solito languore invadermi il basso ventre.
– Ciao Michael – gli rispondo.
– Pensavo di portarti fuori a pranzo. Avevo un appuntamento di lavoro ma è stato annullato, ho mezz’ora di tempo giusto per mangiare un boccone. Ti va?
– Sì, certo – gli rispondo.
– Allora ti vengo a prendere alle 13,00, va bene? Conosco un piccolo ristorantino vicino alla NY Advertisement, possiamo andare a piedi, se vuoi.
– D’accordo, va benissimo. Ci vediamo dopo, allora.
– A più tardi – mi dice – Bacio.
– Ciao – gli rispondo, e riattacco il telefono.
Non so cosa mi succeda, con Michael. Sono stata divinamente con lui, mi fa sentire bene.
È bravo, decisamente, sa come si tratta una donna, sia a letto che fuori. Ma non sento il calore, il sentimento. È sesso, passione, divertimento, e nient’altro. Anche quando mi adula, mi saluta dicendo “bacio” … non riesco a rispondere a tono, proprio non ce la faccio.
In più, gli ho mentito. Porto ancora la spirale, ho parlato con il mio ginecologo ed abbiamo deciso di non toglierla, dopo la morte di John. Ma a Michael non l’ho detto, gli ho fatto indossare il preservativo. Perché? Sorrido tra me e me… So già la risposta… in fondo in fondo, non mi fido di lui. E questo non va.
Mi avvio all’uscita, ed appena esco dall’edificio lo vedo, che mi aspetta.
– Ciao, piccola – mi dice, dandomi un bacio sulla guancia.
– Ciao – gli rispondo.
Mi prende per mano, e ci incamminiamo in mezzo alla miriade di persone che popolano questa grande città.
– Ho scoperto questo ristorantino stamattina, parlando con la mia segretaria. Ci è andata con il suo ragazzo, in pausa, mi ha detto che si mangia molto bene ed il servizio è veloce ed impeccabile. Mi sono detto: perché non portarci Emma? Visto che è qui vicino…
– Già, hai fatto bene… – gli rispondo.
Stiamo per entrare nel locale quando sento una voce ben nota che mi chiama, facendomi gelare il sangue nelle vene.
– Mamma?
Mi giro di scatto, e vedo mio figlio Paul.
– Ciao, amore… – gli dico, togliendo la mano da quella di Michael – Cosa ci fai da queste parti?
– Ci vado a scuola, “da queste parti” … ricordi? – mi risponde, poi guarda intensamente Michael.
Mi tocca presentarli, quindi lo faccio, tremando come una foglia.
– Michael, mio figlio Paul – dico – Paul, questo è un mio amico, Michael.
Michael gli porge subito la mano, e Paul, riluttante, la prende, stringendogliela.
– Ciao – gli dice Paul, freddo.
– Ciao, Paul – gli risponde Michael – Fai l’Università?… Che facoltà frequenti?
– Studio medicina, come mio padre – gli risponde Paul, con tono di sfida, marcando bene la parola “padre”.
Michael gli sorride.
– Bravo, complimenti – gli dice – Se hai la vocazione, devi seguirla.
– Già – gli dice lui. Lo osserva, di nuovo, intensamente.
– Quanti anni hai? – gli chiede Michael, a bruciapelo.
– Ventiquattro, ne compirò venticinque il dodici marzo – gli risponde, serio.
Michael lo guarda, impassibile, senza lasciar trapelare nulla, ma io so che ha capito, non è stupido.
– Quindi sei nato nel 1989, vero? – gli chiede.
– Sì, esattamente – gli risponde Paul, sempre più serio.
Segue un lungo momento di silenzio, che mi sembra interminabile.
– Beh, scusate, ma io devo andare, Erika mi aspetta – dice Paul, serio – Arrivederci, Michael. Ciao, mamma, ci vediamo stasera a casa.
– Ciao amore, a più tardi… – gli rispondo.
– Ciao – gli dice Michael – È stato un piacere. In bocca al lupo per i tuoi studi.
Paul ci volta le spalle e se ne va, lungo il marciapiede. Penso di svenire, mi viene il voltastomaco.
– È mio figlio, vero? – mi chiede Michael improvvisamente.
– Sì. – gli rispondo in un soffio.
Michael
Sono incredulo, sconvolto, allibito. Incazzato. Da morire.
– Perché cazzo non me l’hai detto? – le chiedo, alzando il tono di voce.
Lei guarda in basso, verso il marciapiede.
Poi, solleva lo sguardo, ed ha negli occhi la stessa rabbia che sento io.
– Perché credevo fossimo innamorati, poi ho conosciuto la tua ragazza! – mi dice, con enfasi – E comunque, l’ho scoperto solo dopo, quando te n’eri già andato.
– E perché non sei venuta a cercarmi? – le chiedo – avrei potuto aiutarti…
– A fare cosa? – mi dice – Ero perfettamente in grado di badare sia a me stessa che a lui.
– Ma tuo marito… lo sapeva? – le chiedo.
Mi guarda, incredula.
– Certo che lo sapeva! Quando ci siamo conosciuti Paul aveva due anni. Lui è stato una benedizione dal cielo. Ha dato tutto a Paul, è stato un padre per lui, a tutti gli effetti.
– Non pensi che ora dovremmo dirglielo? – le chiedo.
– Paul lo sa già, che John non era suo padre, lo ha sempre saputo. E non ha mai voluto sapere chi eri tu. – mi dice con freddezza.
– Sono già spacciato in partenza, vero? – le chiedo.
Lei guarda verso il basso, di nuovo.
– Non lo so – mi sussurra – Non so più niente, Michael.
Faccio un sospiro, poi la prendo per mano, portandola dentro il ristorante.
– Vieni, andiamo a mangiare qualcosa. Poi, parleremo.
Emma
Busso all’ufficio di Alex.
– Avanti – mi dice dall’interno.
– Ciao – gli dico – come sei messo con il lavoro? Perché io andrei… Vieni da noi, allora, stasera? Ho già ordinato le bistecche…
– No, non ce la faccio – mi dice, ha l’espressione stanca – Devo fermarmi qui per un bel po’, poi andrò a casa. Casomai domani, ok?
– Ok… domattina a Central Park per il solito jogging? – gli chiedo.
– Penso di sì, casomai ci sentiamo più tardi…
– Va bene, a domani, allora… ciao.
– Ciao, Emma – mi dice, e si tuffa nuovamente tra le sue carte.
Esco dal suo ufficio mestamente, mi tocca andare a casa da sola, speravo tanto nel suo appoggio.
Dovrò affrontare mio figlio… da quando ho accettato di rivedere Michael sapevo che prima o poi questo momento sarebbe arrivato.
Esco dall’edificio, e davanti a me vedo Michael, appoggiato alla sua Z3.
– Ciao – mi dice con un sorriso – Ho pensato di farti una sorpresa… Ti porto a cena fuori, stavolta per davvero.
Tutta la tensione della giornata mi piove addosso. Alex, mio figlio… Non ce la faccio più, improvvisamente ho solo voglia scappare, e lui mi sta dando questa opportunità.
– Ok, aspetta un attimo che telefono a casa, avviso che farò tardi – prendo il telefono e mi allontano leggermente da lui.
– Pronto? – è Paul, ovviamente. Ti pareva.
– Ciao, scusami, ma stasera faccio tardi – gli dico frettolosamente.
– E dove vai? – mi chiede sospettoso.
– Esco con Alex, uno dei nostri soliti aperitivi… – dico, mentendo spudoratamente a mio figlio.
Me ne vergogno subito dopo, ma non posso fare altrimenti.
– Ah, va bene, allora… – dice sollevato – Buona serata, divertitevi… Ciao, mamma.
– Ciao – gli dico, chiudendo la comunicazione. Sono una stronza bugiarda, di prima categoria.
Ma cosa diavolo sto facendo? Mi volto, e vedo Michael che mi aspetta, sorridente.
Sono piena di dubbi, insicurezze… Con lui riesco a non pensare a nulla, ad Alex, ai miei figli… mi ritaglio uno spazio privato tutto per me, rimandando la risoluzione delle cose a data da destinarsi.
È sbagliato, lo so… Ma ora non mi sento di fare altro.
Mi incammino verso di lui, salgo sulla sua macchina e lascio che mi porti dove vuole.
Alex
Basta lavorare, continuo a pensare ad Emma, e non rendo… è inutile.
Mi alzo dalla sedia, e lascio l’ufficio… mi aveva invitato, ed io le ho detto di no.
Decido di farle una sorpresa, spero sarà contenta… mi fermo a prendere del gelato, nonostante sia gennaio, lei lo adora.
Arrivo al loro palazzo, entro, saluto il portiere e salgo al loro piano, felice.
Suono alla porta, e mi apre Paul, serio.
– Cosa ci fai qui? È successo qualcosa? – mi chiede.
– No, tua madre mi aveva invitato a cena, ma le avevo detto di no… sono riuscito a liberarmi.
Lui mi guarda allibito. Non capisco cosa sta succedendo.
– Entra – mi dice, livido, facendosi da parte per farmi passare.
Entro, lui chiude la porta e poi si gira a guardarmi, è inviperito.
– Cosa succede, Paul? – gli chiedo. Ho un terribile presentimento.
– La mamma non c’è. – mi dice secco.
– Come, non c’è? – Mi sembra impossibile.
– Mi ha detto che usciva con te. Mi ha chiamato un’ora fa.
La sua menzogna mi colpisce come uno schiaffone in pieno viso. Sono sconvolto, mi ha usato.
– Come?!? – gli chiedo. Devo stare calmo, sto diventando una furia.
– Hai capito benissimo – mi dice Paul. È incazzato nero, pure lui.
Mi siedo su una sedia, cercando di farmi sbollire la rabbia. “Cazzo, Emma!!!” penso “ma quando la smetterai di farmi incazzare così? Anche le bugie, ora? Lo sai che non le sopporto, in più mi hai usato per fare i tuoi comodi!!!”
– Oggi l’ho vista con lui – mi dice Paul, improvvisamente – non te l’ha detto, vero?
Vengo colpito da un altro schiaffo, in pieno viso.
– No, non me l’ha detto – gli rispondo.
– Non sono stupido, Alex – mi dice – ho capito subito chi è, non appena l’ho visto, e non voglio avere niente a che fare con lui. Non voglio che lei lo veda.
Sono sconvolto dalla sua franchezza. Pur essendo d’accordo con lui cerco di farlo ragionare.
– Paul… tua madre è adulta, so che noi pensiamo che lui non sia la persona giusta per lei, ma dobbiamo lasciarla libera di decidere della sua vita… Magari siamo noi, a sbagliarci.
Paul mi guarda, inarcando un sopracciglio.
– Non mi sbaglio. So cosa le ha fatto, so che persona è. Le persone non cambiano.
Lo guardo, non sapendo cosa dirgli.
– Ma perché non può innamorarsi di te? – mi dice – Se vuole rifarsi una vita… vorrei tanto che se la rifacesse con te.
Beh, forse sarà il figlio biologico di Michael, ma è uguale in tutto e per tutto a John. Sorrido.
– Perché a volte, nella vita, le cose non vanno esattamente come vogliamo – gli rispondo.
Si siede, di fianco a me. Gli do il gelato che avevo comprato per la serata.
– Mettilo in freezer, altrimenti si scioglie – gli dico, alzandomi – Io vado, scusami.
– No, resta… – mi dice Paul – magari tra poco arriva…
– Appunto, non ho nessuna intenzione di vederla – gli rispondo – Mi ha fatto incazzare sul serio, stavolta, tua madre. È meglio che vada a fare un giro, per sbollire la rabbia.
Paul si alza, prende il gelato e mi dà una pacca su un braccio.
– Per quello che può valere… io tengo per te, lo sai – mi dice – Non potrei essere più felice, se tu…
– Sì, lasciamo stare, Paul – gli dico, non voglio nemmeno pensarci – Dai, ci vediamo.
– Ci vediamo, Alex – mi risponde, mestamente.
Esco da casa sua, e prendo l’ascensore. Serro i pugni, le nocche mi diventano bianche.
Respiro affannosamente, cercando di controllare la rabbia, ma non ce la faccio, non stavolta.
Arrivo a piano terra, saluto in fretta il portiere, ed esco. Ho bisogno di bere.
Sono appoggiato al bancone, non ho mangiato nulla, e sono al terzo Jack Daniel’s.
In sottofondo sento “The Unforgiven II” dei Metallica. Mi scappa un sorriso ironico, spesso la musica interpreta molto bene il nostro stato d’animo.
Che rabbia, dentro, che delusione, Emma… Hai mentito, a tuo figlio, a me, mi hai usato per i tuoi giochi, quando solo poche ore prima sei venuta a dirmi che ti mancavo!
Afferro il bicchiere, ho voglia di lanciarlo contro il bancone.
Una mano si posa sul mio braccio, mi volto lentamente.
– Ciao – mi dice una voce suadente.
Lucy. Mi guarda con i suoi occhi azzurri, sbattendo le ciglia.
– Ciao – le rispondo, secco.
– Che faccia! – mi dice – Che ti è successo?
– Nulla che valga la pena di raccontare – le rispondo.
– Ti osservavo, da lontano… – mi dice, passando le sue unghie laccate sul mio braccio – qui, solo soletto… Ho pensato che avessi bisogno di un po’ di compagnia…
La osservo. Ci sono già andato a letto, un paio di volte. È fantastica, Lucy. Bionda, occhi azzurri, tette e culo perfetti, generosa, a letto… ed il giorno dopo, ognuno per la sua strada, senza problemi. Quello che ho sempre voluto io. In questi anni, a volte, mi è capitato di avere il bisogno fisico di una donna, sono un uomo, anch’io, del resto… Quelle come Lucy sono quelle di cui ho bisogno.
Mi alzo, bevo l’ultimo goccio dal bicchiere e butto i soldi sul bancone, per il barista.
La prendo per un braccio.
– Andiamo – le dico, e la porto a casa mia.
continua…
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Questo racconto è di proprietà di Samy P., è protetto da copyright e ogni riproduzione dell’opera, parziale o integrale, è vietata. È vietata la redistribuzione e la pubblicazione dei contenuti, in qualsiasi forma, non autorizzata espressamente dall’autrice. Tutti i diritti sono riservati ©. L. 633/1941. Questo racconto è un’opera di fantasia di Samy P. Ogni riferimento a persone reali esistenti o esistite, fatti, luoghi o avvenimenti è del tutto casuale ed è frutto dell’immaginazione dell’autrice che ne ha fatto uso al solo scopo di dare maggiore veridicità alla storia.