UN NATALE IN BIANCO – Prima parte
di Renée e Samy P.
Stella
«Stella?» la voce della mia collaboratrice è insistente e fastidiosa.
Allontano il telefono dall’orecchio, coprendo con una mano il microfono. «E adesso che diavolo c’è?» La mia voce è ridotta a un sibilo.
Lei mi fulmina con lo sguardo. Dannazione, siamo nel bel mezzo dell’organizzazione di uno dei matrimoni più attesi, qui a Milano, e i tempi sono ridotti all’osso. E io odio lavorare con scadenze a breve termine.
Il mio lavoro è organizzare, non affannarmi e correre da un luogo all’altro. Riservo alle mie Louboutin un’occhiata disperata. «Non succederà più, ragazze. Lo giuro.»
«Puoi smettere di parlare con le tue scarpe e rispondere al telefono?» mi rimbecca quella che dovrebbe essere la mia assistente.
Le restituisco uno sguardo di fuoco e con un gesto della mano la invito a parlare.
«Gioielliere sulla linea due.» Mi fa cenno di rispondere subito. «Ed è urgente.»
Alzo gli occhi al cielo e mi concedo un lungo, interminabile respiro, preparandomi a liquidare la mia interlocutrice. «Ho un’emergenza, Carla. Perdonami, ma dobbiamo rimandare la nostra discussione riguardo alle varie tonalità di lavanda usate dal catering» cerco di dirglielo con il tono più affabile e gentile che riesco a trovare. So che non la prenderà bene.
«Stella, non puoi abbandonarmi!» sento la futura sposa piagnucolare, affranta.
Poso le dita sulla tempia e le picchietto leggera, in cerca di una risposta secca e decisa da dare alla mia cliente.
«D’accordo, ti prometto che entro domani avrai i campioni che hai richiesto, così potrei confrontarli con quelli proposti dal catering.»
Il suo tono di voce mi fa capire che ho fatto centro e dopo mille ringraziamenti, finalmente, mi lascia nelle mani del gioielliere più antipatico – e soprattutto oneroso – di tutta Milano.
Riattacco il telefono e lo risollevo subito, poi premo il pulsante tenendo a portata di mano una calcolatrice.
«Signor Fumagalli, buongiorno!» Non riesco a trattenere un sorriso tirato, per fortuna non può vedere la mia faccia.
«Stella Casiraghi!» La voce stridula e di rimprovero – e soprattutto femminile – che riecheggia dall’altra parte della cornetta mi lascia per qualche istante sconvolta. «Ti sembra nomale che io abbia dovuto corrompere la tua cosiddetta assistente per riuscire a entrare in contatto con te, che sei mia sorella?»
Oh, no. Questo è anche peggio del Signor Fumagalli.
Peggio del lunedì mattina.
Peggio della dispensa senza riserva di caffè.
Il peggio, insomma.
Matilde me la pagherà cara, e vorrei tanto sapere per quanto si è venduta, la traditrice.
«Steffi, non è il momento davvero» cerco di liquidarla, ma so che non sarà facile.
«Invece lo è eccome, signorina!» Il suo tono è secco e non ammette repliche. «Cosa fai a Natale?» All’improvviso diventa dolce, e questo mi preoccupa ancora di più.
«Ehm…il solito, credo» tentenno appena, sospettosa.
Pessima mossa Stella…
«Bene.» Il suo tono è deciso e trionfante. «Allora ti aspettiamo a casa per trascorrere le feste insieme!»
Mi accascio sulla poltrona di pelle rossa e con le dita sfioro le cuciture, tentando di trovare una risposta valida, ma soprattutto credibile, che mi permetta di disertare questa specie di incubo.
«Steffi, lo sai che lavoro…» abbozzo in maniera poco convincente.
«Chi vuoi che si sposi il giorno di Natale?» rilancia imperterrita.
Poi all’improvviso il pensiero del party di Capodanno organizzato dalla Società, si fa spazio nella mia mente. Un sorrisetto maligno dipinge il mio volto. Potrebbe essere la mia salvezza.
Deve esserlo.
«Sorellina…» cerco di usare un tono dolce, ma soprattutto convincente «mi dispiace tantissimo, ma purtroppo non ho calcolato il party di fine anno organizzato qui in ufficio e il destino vuole che sia proprio io a dovermene occupare, subito dopo il matrimonio che sto finendo di preparare. Manderò dei regali meravigliosi ai bambini per farmi perdonare. Promesso.»
La sento sbuffare indispettita, oltre il ricevitore. «Sei impossibile, Stella!»
Immagino che non abbia creduto alla mia versione dei fatti, purtroppo.
«Sai che ti dico? Spero che le tue bugie ti si ritorcano contro, un giorno o l’altro!» È inviperita. «E ti auguro di lavorare davvero a Natale!»
«Steffi, dai…»
Sento un senso di colpa fare capolino, in un angolo della mia mente, ma dall’altra parte ormai non c’è più nessuno ad ascoltarmi, solo un assordante silenzio.
E il premio per la miglior sorella dell’anno va a te Stella!
Faccio un sospiro rassegnato, ma ormai la frittata è fatta e non mi resta molto da fare.
Se non chiamare all’appello colei che mi ha messo in questo guaio. «Matilde!» sbraito irritata, cercando invano la folta chioma rossa della mia assistente.
Ma al momento sembra sparita nel nulla.
E ancora non so che quello che capiterà tra pochi giorni mi ripagherà del torto appena fatto alla mia famiglia.
«Credevo mi avresti ringraziata!» Matilde piagnucola, mentre stringe tra le mani la notizia che mi ha appena rovinato la vita.
«Per cosa, esattamente?» Punto i miei occhi fiammeggianti nei suoi.
«Volevo rimediare al guaio in cui ti ho cacciato con tua sorella, e…» Ha un tono sommesso, ma io non sono dell’umore adatto per passare sopra a quello che ho appena scoperto.
«Non ci posso credere! Praticamente mi stai facendo passare dalla padella alla brace!» Afferro con un gesto secco i documenti che mi sta porgendo la mia assistente. «Venezia, ma ti rendi conto?» Sono sconvolta.
«Ti avrebbero assegnato in ogni caso questo matrimonio, Stella…»
«Ma come diavolo ti è venuto in mente di dare il tuo benestare, senza nemmeno interpellarmi?» Il tono che le riservo è gelido e pieno di disapprovazione. «Lavori per me, accidenti!» Sono furibonda, non posso credere che abbia accettato l’incarico in mio nome.
«Di solito lasci visionare a me la tua agenda e io, in qualità di tua assistente, seleziono gli ingaggi più adatti da inserire nel tuo portfolio» si schiarisce la voce, cercando di essere paziente. «Poi guardando la data e il compenso ho pensato che sarei riuscita a farmi perdonare per il piccolo scherzo della telefonata, per questo ho accettato l’incarico.»
So che è dispiaciuta, lo percepisco dal suo tono e dall’espressione sul suo volto. «Non ho scelta, vero?» Il mio sguardo è un misto tra rabbia e rassegnazione.
Il suo silenzio basta a farmi comprendere l’antifona.
Mi siedo, affranta.
Non sono certa di voler aprire il dossier per scoprire i particolari dell’evento da organizzare, perché sapere il luogo dove si svolgerà la tanto attesa cerimonia mi basta eccome!
Venezia.
Ossia acqua alta, stivali di gomma e piccioni come se piovesse.
Io lì non ci voglio mettere piede. Nemmeno le mie scarpe vogliono calpestare quelle calli insidiose.
Getto la cartellina sul tavolo sbuffando, chiedendomi come poter uscire da questo terribile intoppo.
Volevo una scusa per non presentarmi a casa di mia sorella a Natale, non c’è dubbio che adesso ce l’ho sul serio.
Rifletto per un istante sul da farsi.
Certo, so che si tratta solo di pochi giorni da passare nella città lagunare, ma ho il sospetto che saranno interminabili.
Figuriamoci!
Senza auto.
Senza amici.
Senza il Cosmopolitan del venerdì con le ragazze.
E soprattutto senza sesso.
Il tutto durante le festività natalizie, che già non sopporto.
Sì, perché la data del matrimonio è fissata per il venticinque dicembre.
A malincuore apro il dossier e mentre sfoglio le pagine e passo in rassegna sottolineando con attenzione tutti i punti salienti, inarco un sopracciglio: rito cattolico presso la Basilica di San Marco, ricevimento nella Sala Ducale dell’Hotel Danieli.
Però.
Lo stile da adottare sarà estremamente classico, ricercato e attento ai dettagli, il colore predominante sarà il bianco e ottima notizia, il budget sarà illimitato.
Forse non sarà così male, come non lo sarà la mia commissione.
Faccio un mezzo sorriso e decido di fare una rapida ricerca su internet per farmi un’idea degli spazi che la location può offrire e il passo successivo sarà quello di contattare i futuri sposi per fare un colloquio conoscitivo, anche se dalla documentazione noto che lo sposo è lontano da Milano per lavoro. Alzo le spalle, parlerò solo con lei e credo che sarà più facile.
Tendenzialmente mi affido alle richieste degli sposi e cerco di soddisfarle senza obiezioni, ma ho imparato che in molti casi nemmeno loro sanno bene cosa vogliono.
Ed ecco che qui entro in gioco io: il mio compito è quello di studiarli, di scavare a fondo e proporre idee sempre nuove ed esclusive. Non uso mai due volte lo stesso tema, piuttosto cerco di ispirarmi a qualcosa che li appassiona e provo a creare un mondo unico e speciale.
Il loro.
Devo ammetterlo, in effetti: è un incarico che farebbe schizzare il mio nome in cima alla lista delle wedding planner più importanti del Paese.
Sorrido compiaciuta. Mio malgrado, mi ritrovo a pensare che forse non tutti i mali vengono per nuocere.
Pochi giorni in quella città, solo pochi giorni.
Dopodiché tutto tornerà alla normalità.
Diversi giorni più tardi e precisamente il ventitré dicembre affronto quelli che saranno i giorni più cupi della mia vita.
Il viso mi si contrae in un’espressione disgustata, nell’istante in cui l’aria umida mi colpisce in pieno volto, riempiendomi le narici di un odore salmastro e disgustoso.
Il treno che ho appena lasciato sta per ripartire e questa volta la destinazione è inversa. Non ho potuto fare a meno di guardare con tristezza il tabellone che poco fa era posto sopra la mia testa, mentre le lettere scorrevano fino a formare un nome, che corrispondeva esattamente alla mia città: Milano Centrale.
Non sono ancora convinta della decisione che ho preso, non sono sicura che questo luogo mi piacerà, ma ormai il contratto è firmato e la mia nuova casa – per fortuna temporanea – mi aspetta.
Ho scelto un appartamento delizioso per il mio breve soggiorno a Venezia, si trova nella zona più vivace della città, dove mi hanno spiegato che è più facile incontrare veneziani piuttosto che turisti.
A tal proposito, mi aggiro per il piazzale della stazione in cerca di un taxi d’acqua; è chiaro che ho troppe valigie per farmela a piedi e inoltre, con questa pioggerella odiosa, non è di certo una possibilità contemplabile.
Mi avvicino a quello che dovrebbe essere un tassista, sta gesticolando in maniera animata con quello che credo sia un suo collega.
«Mi scusi?» cerco di usare un tono cordiale, mentre sfodero un bel sorriso.
«Dica, signorina.» Non mi rivolge nemmeno uno sguardo, mentre risponde.
Mi schiarisco la voce e alzo il tono, in sottofondo c’è un brusìo fastidioso. «Devo andare in Campo Santa Margherita.»
Finalmente distoglie gli occhi dal suo compagno di merende e mi degna di un’occhiata. «Le valigie sono tutte sue?» le guarda perplesso.
«Certamente.»
Il suo amico gli regala una pacca sulla spalla, prima di andarsene ridendo. «Auguri!»
Che razza di maleducato! Cinque valigie di Louis Vuitton non mi sembrano una follia. Qui parliamo di quattro giorni, certo, ma con una cena di gala e un matrimonio! E forse altrettante serate, chissà. Mi sembrano il minimo.
Lo sguardo dell’uomo, subito dopo, si posa sulle mie adorate scarpe. Un paio di Jimmy Choo, in vernice nera, con tacco a spillo e strass. Più uniche che rare, lo so. Sorrido compiaciuta. Guardale pure, mio caro.
«Prima volta a Venezia?» domanda mentre carica una a una le mie preziose bimbe.
«Sì.»
Fa un colpo di tosse per coprire una risata.
Inarco un sopracciglio e lo osservo meglio: sì, quello che vedo è proprio un uomo rozzo e cafone, a questo punto non oso immaginare che elementi si aggirino nei locali di questo luogo.
Decido di ignorare le occhiate fugaci e divertite del tassista e infilo le cuffie per ascoltare un po’ di musica, non ho idea di quanto ci impiegheremo ad arrivare.
So solo che per andare al lavoro mi toccherà prendere un vaporetto. Una cosa davvero scomoda e fastidiosa, da quello che ho potuto vedere dando un’occhiata qui intorno.
Più ci rifletto, più credo che questa sia stata una completa e totale pazzia, ma mentre genero i miei pensieri poco carini su questa città, gli occhi si posano sul panorama: dai grandi nuvoloni grigi fanno capolino dei flebili raggi di sole che, maestosi, si riflettono sulla Laguna. I gabbiani volano bassi emettendo un suono che non avevo mai sentito prima, mentre altre nuvole cariche di pioggia minacciano di coprire il cielo. La luce che si viene a creare è davvero spettacolare.
«Eccoci arrivati, mademoiselle.» Cerco di ignorare il tono canzonatorio del mio accompagnatore e rivolgo uno sguardo intorno, accorgendomi di colpo di non avere alcuna idea di dove si trovi il mio appartamento.
«Mi scusi, non c’è un servizio di facchinaggio o qualcosa di simile?» gli allungo una banconota da cinquanta Euro per pagare il viaggio, che lui si affretta a prendere subito e a infilarsi in tasca.
Il tassista esplode in una fragorosa risata e lo guardo allibita, non comprendendo il motivo. Non posso di certo portare cinque bagagli da sola, in giro per questi viottoli dimenticati da Dio.
«Con quelle ai piedi ti sarà difficile girare per Venezia, ’more!»
Credo di avere saette al posto delle pupille in questo preciso istante. Ma come si permette? Com’è che mi ha chiamato? Amore?
Che razza di impertinente!
Mi volto senza nemmeno replicare e chiamo immediatamente il titolare dell’agenzia immobiliare che mi ha affittato l’appartamento.
Uno, due, tre squilli. Niente, non risponde.
Riprovo, certa che manderà in mio soccorso qualcuno e nel frattempo sento lo sguardo dei tassisti posarsi su di me e sulle mie valigie, senza che nessuno faccia un gesto per aiutarmi.
Alla faccia dell’ospitalità.
Richiamo più e più volte, ma niente. A quanto pare la fortuna mi ha abbandonata.
A un tratto sento un fischio fortissimo espandersi alle mie spalle. «Ragazzi! Venite qui!» la voce è quella del mio tassista.
Vedo arrivare quattro gondolieri, con il caratteristico cappello in paglia e maglioncini a righe, che si stanno avvicinando a me e al taxi d’acqua dal quale sono appena scesa.
«Potreste aiutare questa bella signorina a raggiungere la sua destinazione? Lo farei io, ma devo ripartire subito.» Abbozza un sorriso benevolo.
Vuoi vedere che forse, e sottolineo forse, non tutti i mali vengono per nuocere?
Osservo i quattro ragazzi di fronte a me.
Sorridenti, belli e dal fisico prestante.
Mi soffermo sui volti e tra tutti uno solo attira la mia attenzione: mi sembra un po’ troppo giovane, ma ha un viso bellissimo, dalle linee ben marcate e un paio di occhi nocciola meravigliosi.
Le labbra carnose si piegano in un sorriso malizioso.
«Dove deve andare di bello, signorina?»
Rimango pietrificata a osservarlo, poi mi scuoto subito. Okay, ho perso un attimo la bussola, ma adesso mi riprendo.
Forza, Stella.
Come una ragazzina impacciata, afferro il mio telefono per cercare l’indirizzo esatto.
«Sì, ecco…» mormoro paonazza. «Campo Santa Margherita, Dorsoduro, 3224.»
Si guardano tutti sorridendo, divertiti da chissà quale assurdo motivo.
«E’ fortunata, non è molto distante da qui. Venga.» Il bel gondoliere mi sorride, mentre afferra un bagaglio.
Vedo il tassista fare l’occhiolino a uno dei ragazzi e serro le labbra. Altro che galanteria, questi volevano rifarsi gli occhi!
Ma se proprio dobbiamo dirla tutta, devo ammettere che anch’io me li sto rifacendo, non credevo che la categoria fosse così, come posso dire, affascinante.
Afferrano tutte le mie Louis Vuitton con forza e con qualche difficoltà riesco a seguirli a passo svelto, mentre il più giovane mi guarda divertito.
«Prima volta a Venezia?»
Che fantasia, tutti le stesse domande fanno!
«Sì.»
«Da dove viene?»
Mi sta dando del Lei? Oh cielo, non sono così vecchia!
«Milano.»
Mi rivolge un sorriso spontaneo. Carinissimo, aggiungerei, ma ahimè veniamo interrotti dall’altro gondoliere.
«Eccoci arrivati!»
Osservo i ragazzi, in cerca di un modo per ricompensarli dell’aiuto che mi hanno offerto, senza però offenderli. Estraggo un biglietto da visita e lo porgo al ragazzo di fianco a me.
«Potete far addebitare il costo del vostro disturbo a questo numero, provvederà a farvi avere il giusto compenso.»
Mi rivolgono tutti uno sguardo ammonitore, spiazzandomi.
«Puoi offrirci una birra stasera, se vuoi, al pub qui dietro l’angolo. Si chiama Orange. Ci trovi tutti lì a fine turno.» Il ragazzo dagli occhi nocciola mi strizza l’occhio senza aggiungere altro, se ne va insieme agli altri sorridendo e canticchiando a voce alta tra le calli.
Diego
Faccio un lungo sospiro e mi guardo intorno, la sera sta scendendo su Venezia e sul Canal Grande.
Il cielo che fino a poco fa era rosso ora sta diventando violaceo e come sempre qui non appena ci abbraccia il buio, quasi tutto si ferma.
È il momento della giornata che preferisco: le membra che si rilassano dopo ore di lavoro in gondola, la notte che mi si apre davanti senza nessun particolare impegno, i sorrisi che non sono più costretto a fare ai turisti.
Faccio una smorfia ironica, mentre inizio la mia passeggiata verso Campo Santa Margherita. Finalmente mi aspetta una bella birra insieme ai ragazzi. Faremo qualche risata, ce la racconteremo un po’ e distenderemo i nervi.
Mentre mi faccio largo tra i turisti, incrocio un paio di conoscenti. Faccio loro un cenno di saluto con la testa, che ricambiano.
È questo che adoro di Venezia: poter camminare e stare in stretto contatto con le persone, il lato umano di noi veneziani, la nostra allegria e il nostro essere sempre un po’ oltre. Il fatto che bene o male, anche se è una citta davvero grande, noi ci conosciamo quasi tutti.
Mi alzo il colletto del giaccone, infilo le mani in tasca e a grandi passi percorro calli e ponti, fino ad arrivare in pochi minuti a destinazione.
Picchio i piedi davanti all’ingresso e spalanco la porta dell’Orange, dove ci troviamo ogni sera.
Infreddolito, sorrido mentre l’atmosfera calda mi investe, insieme alle note di Parlami d’amore dei Negramaro.
In lontananza scorgo i miei amici e mi dirigo subito verso di loro.
«Oh, finalmente!» Alvise alza il boccale che ha in mano, facendomi segno di avvicinarmi. «Ce l’hai fatta, vecio.»
Non appena lo raggiungo una sonora pacca sulla spalla mi regala il benvenuto e in men che non si dica nella mia mano compare un bicchiere di birra. Gli faccio uno sguardo di gratitudine, lui mi strizza l’occhio.
«Non so tu,» mugugno mentre allungo una mano e prendo un bocconcino di polenta e baccalà, che mastico vorace «ma oggi è stata una giornata pazzesca, nonostante la pioggia. Pieno di turisti come non si vedeva da tempo.»
«Sì, l’ho notato anch’io.» Alvise beve un sorso di birra, poi posa il bicchiere sul bancone pulendosi la folta barba rossiccia con la mano. «Quest’anno sembra abbiano deciso di venire tutti qui, a Natale.»
«Già.» Bevo con lentezza un sorso, pensieroso.
«Ma la giornata più interessante di tutti l’ha avuta Marco.» Alvise mi dà una gomitata leggera, per attirare la mia attenzione. «Sembra abbia fatto una conoscenza particolare, oggi.»
Alzo lo sguardo. Marco è appoggiato al bancone e sta ridendo con gli altri. Noto che si è cambiato, non è vestito come al solito. Lo esamino da capo a piedi, nel suo cappotto di lana al ginocchio, maglione con collo alto e pantaloni scuri. Ai piedi ha un paio di stivaletti neri, ben lucidati.
Osservo me stesso, nonché tutti gli altri: giubbotti di pelle sopra il nostro maglione a righe, jeans, scarponi, felpe. Qui se non ti vesti così non sopravvivi. Mi volto a osservare Alvise, che mi fa un’espressione piena di sottintesi.
Qui gatta ci cova.
«Ehi, Marco!» Gli faccio un cenno con la testa, attirando la sua attenzione. «Com’è che sei tutto elegante, stasera?»
«No, non è vero.» Si guarda gli abiti, mentre gli altri iniziano a sghignazzare, di fianco a lui.
«Come, no?» faccio un paio di passi per avvicinarmi, Alvise mi segue con un sorriso da bastardo stampato sulla faccia. «Ma ti sei visto?»
«Ma smettila.» Lo vedo arrossire appena e voltarsi dall’altra parte, fingendo indifferenza.
Marco è un caro ragazzo, ha trentadue anni, esattamente quattro meno di me. Mi piace stuzzicarlo, ogni tanto: è buono, ma non se la prende mai e alla fine si conclude sempre con una risata da parte di entrambi.
«Avanti, dimmi.» Mi metto di fianco a lui, appoggiato al bancone. Gli rifilo una piccola spallata, che fa tremare il suo bicchiere di birra. «Chi è?»
«Dai, che me lo fai rovesciare!» Si volta a guardarmi un po’ alterato, preoccupato di macchiare i suoi vestiti.
Mi giro a guardare tutti gli altri, un sorriso malefico mi si stampa sulla faccia. «Capito… è una dei quartieri alti.» Lo affermo con lentezza, poi bevo un goccio di birra e guardo Alvise, che se la ride sotto i baffi.
«No, no! Non è dei quartieri alti, Diego!» Manuel si fa avanti, scoperchiando il vaso di Pandora. «È una vera milanese doc, con tanto di puzza sotto il naso e tacchi a spillo! Avresti dovuto vederlo, oggi!»
Scoppiano tutti in una fragorosa risata, mentre Marco stringe le mascelle irritato. Gli passo un braccio intorno alle spalle e stringo appena, come per confortarlo. «Avanti, confidati con lo zio Diego. Racconta un po’, su.» Gli sorrido, mentre lui mi incenerisce con un’occhiataccia.
«Non ho niente da dirti.»
«Hai paura che te la porti via?» Guardo gli altri con un’espressione innocente, che si mettono a ridere di nuovo.
«Al contrario.» Lui scuote la testa. «Ho paura che tu la faccia scappare.»
«Ah, smettila!» Lo sciolgo dalla stretta, allontanandomi da lui. «Non accadrà, fidati. Prometto che mi comporterò bene.»
Lui mi sorride, anche se non crede a una parola di quello che gli ho detto. Sa che non sopporto le persone con la puzza sotto il naso. Ogni giorno, essendo un gondoliere da generazioni, ho a che fare con loro e prima di me mio padre e il padre di mio padre.
Salgono sulla mia gondola con il loro abiti firmati e stendono fazzoletti per paura di sporcarsi, con espressioni talmente disgustate sul volto che ogni volta sono tentato di chieder loro di scendere.
Sento i discorsi che fanno mentre presento loro la Laguna, mentre hanno il privilegio di visitare una città come Venezia, unica al mondo. Parlano di tutto, tranne di quello che stanno vedendo.
E prima di scendere mi pagano profumatamente, certo. Come se il denaro aggiustasse tutto.
Guardo Marco al mio fianco, non posso fare a meno di chiedermi come sia la tosa in questione.
Sorrido, con un’espressione malvagia. È più forte di me, non riesco a resistere.
«Senti, ma…» Mi rigiro il bicchiere tra le mani, fingendo indifferenza. «E quindi uscirete insieme, stasera?»
«No, non proprio.» Lui sembra nervoso.
«Sarebbe?» Mi volto a guardarlo, continua a osservare la porta, freme impaziente.
«Sarebbe che con ogni probabilità verrà qui.»
Spalanco la bocca, non posso crederci. Qui? In un covo di veneziani che sono appena usciti dal lavoro? Una milanese in vacanza? Magari con tanto di pelliccia e tacchi a spillo.
«Sei pazzo?» Scoppio in una risata sguaiata, gli altri mi seguono a ruota. «Come diavolo ti è venuto in mente di invitarla all’Orange?»
«Le abbiamo portato le valigie, lei si è offerta di pagarci e io le ho detto che poteva offrirci una birra qui, stasera.» Solleva le spalle, come per scusarsi.
Si è offerta di pagarci. Siamo alle solite.
Scuoto la testa, schifato. Immagino già il soggetto.
Ma non ho più nulla da immaginare, perché vedo Marco illuminarsi in viso e capisco che è arrivata. Mi volto verso l’ingresso e una gnocca da paura entra nel locale, facendosi strada tra le persone.
Tutti si voltano a guardarla, devo ammettere che è davvero notevole.
La squadro da capo a piedi e per fortuna noto subito che almeno non porta la pelliccia. Ha un cappotto bianco di lana stretto in vita che le arriva fino al ginocchio e una sciarpa morbida, sempre bianca, che le circonda il collo. I capelli biondi le ricadono fluenti sulle spalle e il sorriso che ha quando incontra lo sguardo di Marco risveglierebbe un morto.
Anzi, no.
Quelle gambe che spuntano dal cappotto avvolte nei collant e le scarpe nere con il tacco a spillo, quelle sì che risveglierebbero un morto.
Serro la mascella, irritato.
Bella, come no.
Ma è proprio il tipo di persona da cui io amo stare alla larga e questo non va bene. Conosco molto bene me stesso e la mia incapacità di stare zitto quando non sono sul lavoro e non voglio rovinare la serata a Marco.
«Forse è meglio che io me ne vada.» Mi chino verso di lui, che si volta a guardarmi irritato.
«Non pensarci nemmeno, guai a te se osi farlo. Ormai è entrata, se ti vede andar via faccio una figura di merda.» Mi guarda serio. «Resti qui, bevi una birra insieme a tutti noi e poi saremo io e lei ad andarcene.»
Trattengo una risata. Povero Marco, questa se lo mangia in un boccone, lui non se ne rende conto.
E io non voglio certo che accada qualcosa di male al mio amico, figuriamoci. In fondo ci sono affezionato.
Alzo lo sguardo verso Alvise, che si sta grattando la folta barba e cerca di trattenersi dallo scoppiare a ridere. Mi conosce molto bene e sa cosa mi sta passando per la testa.
Ah, vuoi che resti, caro Marco?
Bene, stasera ci sarà da divertirsi.
La milanese mi passa davanti, ignorandomi come se fossi trasparente. Si ferma accanto a Marco, dando le spalle a tutti gli altri che sono qui con noi a parlare.
Ottima partenza, complimenti.
«Ciao, eccomi qui.» Si guarda intorno, curiosa, poi fa un sorriso tirato. «Carino, questo locale, anche se un po’ spartano. Diverso da quelli che frequento di solito io a Milano.»
«Ciao, ben arrivata.» Marco le rivolge un gran sorriso. «Noi ci troviamo sempre qui, dopo il lavoro. Si sta bene.»
«Lo faranno il Cosmopolitan?» Lei si avvicina al mio amico, con uno sguardo curioso.
Scuoto la testa, ma dove crede di essere, questa? Mi guardo intorno e tutti li stanno osservando, in attesa della prossima mossa.
«Certo che lo fanno.» Marco si volta verso il barista. «Le fai un Cosmopolitan, per favore?»
Lui gli rivolge un cenno d’assenso con la testa, poi si mette subito al lavoro. Marco si sposta appena di lato facendola appoggiare al bancone, poi le indica gli altri.
«Ti presento i miei amici, nonché colleghi.» Con un gesto li indica, e loro si sporgono subito verso di lei per darle la mano, uno a uno. «Paolo, Luca, Manuel, Davide. Lì c’è Alvise.»
«Piacere, ragazzi. Io sono Stella, Stella Casiraghi.» Risponde alle strette di mano, con un sorriso.
Alzo gli occhi al cielo. Già il nome è tutto un programma.
«E lui è Diego.» Marco mi indica e lei si volta subito verso di me, che sono al suo fianco.
Spalanca appena gli occhi azzurri, mi guarda per un attimo e poi sorride.
«Piacere, Stella Casiraghi.» Mi porge la mano.
«Sì, avevo già sentito, grazie. Diego.» Gliela stringo, forte. Lei aggrotta la fronte, poi me la stringe di rimando ancora più forte. Sorrido ironico e gliela lascio, già so che siamo solo all’inizio.
«Prima volta a Venezia, vero?» Le guardo i piedi, infilati nelle scarpe con il tacco altissimo.
«Questa l’ho già sentita, grazie.» Lei fa una smorfia, poi incrocia le braccia al petto e mi guarda con aria di sfida. «Mi dispiace per te, ma ti hanno preceduto. Battuta vecchia.»
«Vedo che non impari nulla, allora.» Sollevo un sopracciglio e bevo un sorso di birra, con calma.
Scuote la testa e mi guarda scocciata, poi si gira verso Marco.
«Allora, non dovevo offrire un giro?» Si volta verso il bancone, proprio mentre il bicchiere che contiene il suo Cosmopolitan arriva di gran carriera. Lo prende soddisfatta e ne beve un sorso, poi guarda il barista compiaciuta «Bravissimo. È ottimo.»
«Certo che dovevi offrire un giro.» Marco si volta e le mette una mano su una spalla. «E benvenuta a Venezia.»
Li guardo e rido, mentre Alvise viene verso di me e mi si sistema a fianco.
«È bella, vero?» sorride.
«Sì.» Mi volto verso di lui, serio. «Peccato che sia quel genere di persona.»
Lui scuote la testa, poi fa un sospiro. «Stai buono, Diego.» Si volta verso di me. «Ho visto il tuo sguardo, ti conosco. Lasciala perdere.»
Mi giro a osservarla, mentre ride con gli altri al mio fianco. Stringo gli occhi, osservo le sue mani ben curate con le unghie lunghe e laccate. Non ha anelli, solo uno di quelli molto vistosi, ma sul dito medio destro. Mi volto di nuovo verso Alvise.
«Vedi, mi ha lanciato una piccola sfida, poco fa.» Gli sorrido, sadico. «E sai che io non mi tiro mai indietro.»
«Ostrega, ci sarà da divertirsi allora, stasera.» Scoppia a ridere, poi beve l’ultimo sorso dal suo boccale e si sposta verso agli altri, per partecipare alla bevuta collettiva.
Li osservo tutti, in silenzio. Una gomitata leggera cattura la mia attenzione, la milanese mi sta osservando.
«E tu? Non bevi?» Un angolo della sua bocca si piega appena verso l’alto. «Oppure non sei il tipo che accetta di farsi offrire da bere da una donna?»
«Certo che bevo.» Finisco la mia birra e appoggio il bicchiere vuoto sul bancone, indicandoglielo.
Lei si volta, ordinando un’altra birra per me al barista.
Sorrido sadico.
Ah, bella mia… tu non sai in che guaio ti stai andando a cacciare.
Stella
Ma che diavolo ci faccio qui? alzo gli occhi e fisso l’insegna del locale.
Avrei potuto disfare le valigie, farmi una bella tisana depurante e un bagno caldo con una goccia di olio essenziale e patchouli, ma invece eccomi qui, alla ricerca di quattro gondolieri in una bettola sperduta tra le calli veneziane.
Scuoto la testa per allontanare i dubbi, sarà meglio che entri prima che il buonsenso mi faccia scappar via a gambe levate.
Tento di farmi strada tra la folla accalcata all’ingresso, devo arrivare assolutamente al bancone, è lì che di certo si troveranno i ragazzi.
Una volta superati i buttafuori, realizzo con stupore che il locale non è poi così male.
Il bancone si trova al centro della sala e tutt’intorno ci sono dei tavolini alti con sgabelli attorniati da un sacco di gente, la musica è ben mixata e l’atmosfera è calda e accogliente.
Un paio di Cosmopolitan e credo proprio che la serata passerà in fretta.
O almeno questo è quello che mi auguro.
Avanzo, sganciando i primi bottoni del cappotto in cashmere che indosso, mentre con gli occhi cerco di trovare i simpatici gondolieri, ma vengo distratta da un paio di occhi penetranti che stanno fissando ogni centimetro del mio corpo.
Di rimando, rivolgo allo sconosciuto uno sguardo incuriosito. Sembra un bel tipo, ma forse la luce soffusa mi inganna. Il look non è curato nei minimi particolari, ma di fronte a quegli occhi e a quelle labbra, potrei sicuramente soprassedere.
Mi avvicino al bancone e scopro che i ragazzi sono proprio insieme a lui.
Sta sorseggiando una birra in religioso silenzio, mentre mi squadra una seconda volta dalla testa ai piedi.
Vengo accolta dal bel gondoliere che mi ha invitata qui stasera, credo si chiami Marco, ma per evitare figuracce opto per una domanda colloquiale, una di quelle che usi per rompere il ghiaccio.
Mi sento gli occhi di tutti addosso, specie quelli del tipo silenzioso.
Non sembra socievole, perlomeno non quanto i suoi amici.
Inizio con le presentazioni, magari così sciogliamo un po’ di tensione, ma noto che l’attenzione dei ragazzi è rivolta tutta a me, a Marco e al simpaticone.
Mi accorgo che anche lui osserva con curiosità le mie scarpe e come tutti gli uomini incontrati in questo posto, mi rivolge la stessa, banale, domanda.
«Prima volta a Venezia, vero?»
Alzo gli occhi al cielo.
Questo è proprio un personaggio antipatico. Peggio del cafone taxista.
Ho bisogno di un Cosmopolitan. Subito.
Con un bicchiere in mano, fare conversazione diventa molto più semplice, soprattutto quando sono in imbarazzo.
Il barista è davvero efficiente e in pochi attimi il mio cocktail preferito è tra le mie mani.
Appoggio con delicatezza le labbra sul bicchiere, assaporandone una piccola quantità.
«Bravissimo. È ottimo.» Sentenzio soddisfatta.
Mi volto, guardando l’unico ragazzo che non ha afferrato il boccale di birra.
Incrocio il suo sguardo.
Mi costa ammetterlo, ma è davvero affascinante, chissà se anche lui fa il gondoliere.
«E tu? Non bevi?» Il mio tono è provocatorio. «Oppure non sei il tipo che accetta di farsi offrire da bere da una donna?»
Mi osserva e sta sorridendo, o almeno credo che quello sia un sorriso.
Bene, forse questa serata non sarà poi il disastro che avevo immaginato.
Dopo il terzo o il quarto drink che bevo sento un pizzico di euforia pervadere il mio corpo. L’atmosfera è davvero cambiata.
Risate, battute e aneddoti sulla vita da gondoliere rendono davvero surreale la situazione in cui mi trovo.
Mi sento rilassata e completamente a mio agio, persino il bel ragazzo silenzioso si è lasciato trasportare dall’aria di festa e adesso, di fronte ai particolari del mio arrivo qui a Venezia, sta ridendo a crepapelle.
«Non ci credo!» esclama guardando Marco. Ha le lacrime agli occhi da quanto ha riso.
«Diego, giuro, dovevi vederla!» Sull’onda dell’allegria, Marco posa all’improvviso una mano sul mio fianco.
Di colpo il mio sguardo, insieme a quello di Diego, si posa su quella mano a me sconosciuta.
È davvero imbarazzante, perché Marco è certo un bel ragazzo, ma durante la serata ho realizzato che è davvero troppo sopra le righe per i miei gusti.
Anche se fosse per una sola notte, non rientra proprio nei miei canoni.
Con noncuranza sposto il peso sull’altra gamba dando un po’ di sollievo ai miei piedi oramai martoriati dalle scarpe divine che calzo e questo basta a farlo allontanare.
L’espressione di sollievo che attraversa gli occhi di Diego non passa inosservata e, a questo punto, non posso fare a meno di domandarmi se per caso gli abbia dato fastidio l’atteggiamento del suo amico.
Scuoto la testa. È chiaro che ho bevuto troppo.
Non mi riguarda quello che pensa. Non deve riguardarmi.
Figuriamoci se posso perdere tempo con queste sciocchezze, non è nemmeno il mio tipo.
Lo guardo con attenzione, mentre sorseggia un’altra birra.
Sembra essere poco attento ai dettagli. L’impressione che dà è quella di essersi messo addosso la prima cosa trovata nell’armadio, per non parlare poi di quel giubbotto in pelle stile biker.
Non ci siamo proprio, Stella. Non va bene per te, chiaro?
«Allora, cosa fai di bello nella vita?» La sua domanda è come un fulmine a ciel sereno.
Lo guardo con sospetto. Cosa ne è stato del ragazzo silenzioso e distaccato di poco fa?
«Che c’è?» Fa spallucce. «Non sono un tipo che ama strafare» spiega, lanciando un’occhiata lasciva verso il suo amico.
Non posso fare a meno di ridere, ha capito anche lui che Marco sta alzando un po’ troppo il tiro.
«Wedding Planner.» Annuncio senza tante cerimonie. «E prima che tu me lo chieda, mi trovo a Venezia per organizzare un matrimonio.»
All’improvviso fa un’espressione che sembra quasi che stia per ridermi in faccia, come se il mio non fosse un lavoro di enorme responsabilità.
Che stupida! E pensare che stava anche cominciando a piacermi!
«E se non sono indiscreto, di chi è il matrimonio?» trattiene una risatina.
«Non posso fornire i dati personali, si chiama tutela della privacy…» abbozzo gelida. «Ma diciamo che si tratta di una famiglia molto nota, qui in città.»
Si gratta il mento, solleticando il leggero strato di barba. «E quando sarebbe il gran giorno?»
Lo guardo perplessa. Con tutta onestà, non capisco a che gioco stia giocando.
Vuole prendermi in giro?
Da dove viene tutto questo interesse?
«Così posso sapere per quanto tempo ci delizierai con la tua compagnia» spiega, come se avesse letto nella mia mente la domanda.
Rifletto sul da farsi per qualche istante. L’alcool non mi fa ragionare con lucidità.
Dire la data, dopotutto, non sarebbe una vera e propria violazione della privacy, dato che le pubblicazioni in comune sono già esposte.
La data, dunque, è ormai di dominio pubblico.
Tentenno qualche secondo ancora. Sento i suoi occhi su di me.
Sta fissando il bordo delle autoreggenti che spuntano dalla gonna, mentre mi maledico per non aver indossato i pantaloni stile palazzo di Armani.
Avrei dovuto adottare un abbigliamento più castigato.
«25 Dicembre.»
Continua a fissarmi, con quel sorrisetto strafottente. Inarca un sopracciglio.
Dio quanto è fastidioso!
«Un matrimonio a Natale…» E chissà per quale motivo mi appare davvero soddisfatto. «Davvero molto impegnativo, insomma.»
«Al di là del Natale, è la sposa a essere particolarmente esigente. Mi sta sfiancando a suon di richieste.»
Il mio tono risulta più infastidito di quanto non sia in realtà, ma quella ragazza è davvero esasperante persino per una come me, che dei dettagli ne ha fatto uno stile di vita.
«E cosa ti chiedono di così strampalato?» La sua domanda è trattenuta da un ghigno.
Sta per ridermi in faccia. Per la seconda volta.
Giuro che a ripensare alle richieste di Elena Furlan viene da ridere anche a me, ma da una parte vorrei rispondergli per le rime.
Che razza di insolente!
Sto per replicare, quando una risata sguaiata ci distrae dalla nostra conversazione.
Di fianco a noi, una ragazza dai lunghi capelli color mogano sta ridendo, seduta in braccio a Marco.
Indossa una minigonna dalla manifattura scadente e un paio di stivali che le arrivano al ginocchio.
Un pessimo abbinamento, non c’è che dire.
Con quegli stivali ci sarebbe stato bene un bel tubino aderente e sfacciatamente corto, abbinato magari a un giaccone lungo per creare un effetto vedo non vedo.
Sospiro, affranta da cotanto cattivo gusto, mentre Marco si lascia trascinare via per mano dalla rossa e mi lancia uno sguardo ammonitore; ha bevuto quanto basta per essere disinibito e anche un po’ spavaldo. È chiaro che si era fatto un’altra idea su come si sarebbe svolta la serata.
A confermare la mia teoria è lo stesso Diego.
«Non era con lei che voleva concludere la serata, ne sono certo.» Il suo alito leggero solletica il mio orecchio.
Mi volto verso di lui, ignorando il suo commento.
Quello che non riesco ad ignorare, invece, è il brivido che mi percorre lungo la schiena quando il suo respiro si posa poi sul mio collo.
«Bene, sarà meglio che mi avvii verso casa. È stato un piacere conoscerti, Diego.»
Diego
Eh no, bellezza. Tu non vai da nessuna parte, ora. Perlomeno non da sola.
Mi guardo intorno attento, se ne sono andati tutti. Marco con la rossa, gli altri ragazzi a casa. Persino Alvise ci ha abbandonati, la serata in compagnia era già durata troppo, per lui.
Osservo Stella al mio fianco che cerca di reggersi in piedi come meglio può, mentre si infila il cappotto bianco e cerca di raccattare la sua borsetta. Tutti i Cosmopolitan che ha ingurgitato e quelle magnifiche scarpe che porta non l’aiutano di certo.
Mi scappa un sorrisetto furbo, perché è qui che entro in gioco io, finalmente.
La prendo per un gomito, senza stringere troppo.
«Sicura di essere in grado di andare a casa da sola senza farti male?»
Lei si volta a guardarmi, aggrotta le sopracciglia.
«Perché dovrei farmi male, scusa?» Scuote la testa, ride di gusto. «Sono perfettamente in grado di andare dove ne ho voglia, sai?» Mi agita un dito, davanti. Le prendo il polso al volo e le blocco la mano, lei mi rivolge uno sguardo vacuo.
Cazzo. È ubriaca.
Scuoto la testa. «Dove hai detto che abiti?» La prendo di nuovo per il gomito e mi accingo a uscire dal locale, facendomi largo attraverso la calca.
«Non te l’ho mai detto e non azzardarti a…» non riesce a finire, perché io la spingo con forza fuori dalla porta e la metto con le spalle al muro.
La guardo serio.
«Non azzardarti a far cosa, eh? Ad accompagnarti a casa in modo che anche in queste condizioni tu riesca a non perderti fra le calli? Ma per chi mi hai preso?» Inarco un sopracciglio. «Se vuoi ti lascio qui e me ne vado, non ho problemi. Non sono io che mi sono bevuto mezzo bar Orange, stasera.»
Gonfia le guance all’improvviso, sbuffando poi sonoramente. I suoi occhi azzurri si illuminano in un lampo divertito, ma languido. Prende tempo, la sento picchiettare a terra con la scarpa, in modo ritmico. Dopo alcuni secondi di silenzio mi sorride.
«Scusami.» Piega la testa di lato. «Mi farebbe comodo che qualcuno mi accompagnasse, in effetti non sono molto pratica tra queste calli, e…i Cosmo si fanno sentire, lo ammetto.»
«Indirizzo?» Non perdo tempo, annuisco soddisfatto.
«Campo Santa Margherita, Dorsoduro, 3224» Si aggrappa a me, come temevo non è molto stabile.
«Ah, sei fortunata. Non è distante, arriveremo in un attimo.» Le faccio un cenno con la testa verso la giusta direzione, poi la prendo sottobraccio. «Andiamo.»
Mi segue, lasciandosi condurre lungo la strada. Camminiamo tra le persone a una velocità piuttosto lenta, temo che le ore passate in piedi abbiano lasciato il segno, su di lei.
Oltre ai suoi adorati Cosmopolitan.
«Sei gentile. Non so come ringraziarti, davvero.» Trattiene una risata, cercando di soffocarla con una mano davanti alla bocca. «Dovrò sdebitarmi anche con te, ovvio. Ma ti prego, basta serate come questa!»
«Ah, bella mia… Sei a Venezia e serate come questa sono all’ordine del giorno, dovrai abituartici» rido, scuotendo la testa.
«Purtroppo da domani non avrò più molto tempo per divertirmi.» Fa una smorfia, la sento borbottare qualcosa. «La signorina Furlan mi vuole a sua disposizione, quasi ventiquattrore su ventiquattro!»
«La signorina… Furlan?»
«Sì, la sposa» lo dice con voce stridula, scimmiottandola. Trattengo a stento una risata. «La signorina Elena Furlan, missvogliotuttoinbianco, missmisposoanatale, misslamiavenezia…»
Ora non riesco più a trattenermi, rido come un pazzo. La situazione ha dell’incredibile. Stella ormai si è lanciata, ride e fa buffe espressioni con il viso, che la rendono ancora più incredibile e affascinante.
«Figurati. Questa ha trovato un riccone di Milano, che per amor suo ha accettato di celebrare il matrimonio a Venezia. Ma sai cosa significa per me?» Si ferma di colpo, poi mi guarda con la bocca spalancata. «Ho dovuto organizzare il viaggio per tutti i parenti dello sposo, qui a Venezia! Un delirio.»
La guardo in viso, continuo a ridere senza riuscire quasi a respirare.
Lei spalanca gli occhi, poi la bocca, guardandomi stupita. «Ma renditi conto! Una cena domani sera con cinquanta persone – parenti stretti, ovvio – all’Hotel Danieli, per conoscersi e familiarizzare tra loro. E anche domani, come tutto il matrimonio… tutto, ma proprio tutto, bianco.» Si mette le mani sui fianchi, barcollando appena. «E sai una cosa? Io sono una wedding planner, ma se c’è una cosa che odio profondamente è proprio il bianco. Il giorno del matrimonio è una festa, ma diamogli un tono di colore, un po’ di allegria, per la miseria!»
Ormai non riesco più a fermarmi, la guardo e la ascolto, ma continuo a ridere come un pazzo.
«Ho ragione o no?» Mi guarda seria, scuote la testa.
«Certo, come no.» Cerco di riprendermi, respiro a fondo. «Non fa una grinza.»
La prendo sottobraccio, riprendendo a camminare. La sento borbottare di nuovo.
«Questi due, te lo dico io…» Si volta, poi mi parla sottovoce. «Sono due pazzi.»
Rido ancora, un solo pensiero mi attraversa la mente.
Adoro questa donna.
Alzo lo sguardo e vedo che siamo giunti a destinazione. Davanti a noi, il numero 3224 suona come un saluto definitivo e vista la situazione è meglio così. Azzardo un sorriso ironico, mi fermo e mi volto a guardarla.
«Eccoci arrivati» annuncio, e faccio un cenno con la testa verso la porta davanti a noi. Lei segue il mio sguardo e poi si volta verso di me, mi fa una smorfia. «Buonanotte, allora.»
«Oh, uhm… già.» Sfila il suo braccio dal mio, poi sposta il peso da un piede all’altro. Mi guarda con una strana luce, negli occhi. «Che peccato.»
«Che peccato?» Inarco un sopracciglio, incuriosito.
«Sì, cioè… mi stavo divertendo, con te. Credo siano stati i dieci minuti più stimolanti della serata.» Si morde il labbro, poi mi guarda di nuovo.
Stimolanti? Interessante.
«E quindi?» Le faccio un sorriso morbido, la guardo da capo a piedi, con lentezza. «Che pensavi?»
Lei fa un sospiro, poi si appoggia con la mano al muro. Mi guarda, le sue magnifiche labbra si curvano in una smorfia. «Intanto penso che non riuscirò a salire fino al primo piano in queste condizioni… da sola.» Sorride. «Non è che potresti…»
«Ma certo.» Le guardo la bocca, gli occhi. Quel magnifico corpo fasciato dal quel morbido cappotto in cashmere. Ripenso al pizzo delle sue autoreggenti, che ho visto prima. «Vieni, ti aiuto a salire.»
Lei sorride grata, poi si volta ad aprire la porta, appena entrati nell’ingresso cerca di avventurarsi su per le scale, ripide e con alti scalini. Si aggrappa al corrimano in ferro, barcolla un po’.
Senza attendere oltre la prendo per la vita, la faccio voltare e la sollevo tra le braccia, per aiutarla. Lei mi guarda con gli occhi spalancati.
«Wow.» Sorride compiaciuta. «Grazie… non mi sarei mai aspettata da te un gesto simile.»
«E perché mai?» Aggrotto la fronte, incuriosito. Salgo i gradini sostenendola con facilità, in pochi passi arrivo alla porta del suo appartamento. La poso a terra con delicatezza.
«Non so, quando ti ho visto stasera… mi sei sembrato tutto fuorché galante.» Fa una piccola smorfia.
«Ah, beh… grazie!» scoppio a ridere, divertito. «Ti ricordo che sono un gondoliere, tosa. Ho un animo sensibile, sono un romantico.»
Il suo sguardo si addolcisce, l’azzurro dei suoi occhi si fa più scuro. Si lecca le labbra con lentezza, guardando le mie. E che mi venga un colpo, ma non riesco a resisterle.
Le passo una mano dietro la nuca e la attiro a me, divorando subito le sue labbra. Gliele apro con la lingua, vado a fondo nella sua bocca e con enorme gioia scopro che lei mi risponde. La bacio con passione, con trasporto. A lungo. La sento gemere e ansimare e mi accorgo che con il suo corpo aderisce al mio, mentre mi infila le mani nei capelli.
La spingo contro la porta chiusa, fa un piccolo urletto. Mi stacco da lei, la guardo negli occhi ed entrambi scoppiamo a ridere. Si scosta appena e apre la borsa, prende le chiavi di casa e le infila nella serratura, facendola scattare.
La guardo fare tutto quanto, con un’espressione interrogativa. In attesa di un suo cenno, di una sua parola. Di un suo sguardo.
Apre la porta ed entra, poi si volta verso di me. Passano attimi. Minuti. Ore. Non saprei. Poi la sua voce morbida è come un colpo violento al mio inguine.
«Avanti. Che aspetti a entrare?»
Senza attendere oltre mi precipito in casa, con un calcio chiudo la porta dietro di me. Le sfilo il cappotto febbrile, lo lascio cadere a terra insieme alla mia giacca. Sono di nuovo incollato alla sua bocca, mentre le mie mani si gustano i suoi fianchi morbidi, i suoi seni pieni.
Con una mano le alzo la gonna, voglio toccare quel pizzo che poco fa ho solo intravisto. Sento il bordo con le dita, con audacia corro più su, fino a sfiorare la sua pelle morbida delle cosce.
Finiamo contro il muro, mentre lei mi sfila il maglione dalla testa e con le mani inizia ad armeggiare con la chiusura dei miei pantaloni.
Non resisto più, con un gesto secco mi inginocchio davanti a lei e con entrambe le mani le alzo la gonna fin sopra i fianchi. Quello che mi si presenta davanti è di una bellezza inaudita: calze autoreggenti, uno slip striminzito di pizzo nero, cosce ben tornite e fianchi morbidi.
La guardo con impazienza, ha gli occhi chiusi e attende la mia prossima mossa, con il respiro corto. Infilo i due indici nei fianchi dei suoi slip, con un gesto veloce li abbasso e lei si apre a me in tutta la sua femminilità. Affondo la bocca tra le sue cosce, mi gusto il suo sapore, la morbidezza della sua pelle completamente glabra.
La sento fremere, mentre affondo con le dita, con la lingua. Mentre lei si aggrappa ai miei capelli, si lascia andare a gemiti sonori e a un orgasmo che mi riempie la bocca di lei.
Il suo corpo è scosso da spasmi, attendo che si calmi e con lentezza mi alzo in piedi, guardandola negli occhi stupefatto.
Non so cosa mi è preso, non sono riuscito a controllarmi. E non riesco nemmeno ora, perché la donna che ho davanti mi ha completamente stregato. Deglutisco, mentre con calma le sfilo la camicetta, le slaccio il reggiseno e ammiro il suo petto florido e i suoi capezzoli eretti, che spingono contro di me. La guardo in viso, ha le labbra dischiuse, gli occhi velati.
«Ma chi diavolo sei, tu?» la sua voce è un sussurro, mentre allunga le braccia verso di me e mi circonda il collo, attirandomi a lei.
Deglutisco.
«Credimi.» Avvicino le labbra alle sue, guardandola completamente rapito. «È meglio che tu non lo sappia.»
Stella
Sento un piacevole torpore invadere il mio corpo.
Lascio che le lenzuola mi avvolgano, che il tessuto in raso sfiori la mia pelle nuda e non posso fare a meno di voltarmi per cercare con lo sguardo Diego.
Faccio una smorfia, quando mi accorgo che non c’è.
Mi ha regalato una notte che sarà difficile dimenticare: la sua passionalità, le sue labbra e le sue mani che con dolce sensualità hanno toccato tutto il mio corpo.
Al solo pensiero, il desiderio si riaccende inevitabile.
È una follia, Stella. Pura follia.
Infilo veloce una delle mie magliette extra large, raccolgo i capelli in un semplice chignon e mi dirigo in salone.
Ora. Il mio più che un appartamento è un loft open space abbastanza spazioso, certo, ma non così grande da non riuscire a trovare un uomo che si aggira per casa.
La realtà mi colpisce come uno schiaffo del tutto inaspettato.
Se n’è andato.
Mi ha lasciata nuda nel mio letto. Senza una parola. Senza un biglietto.
Immaginavo che si sarebbe trattata di una notte soltanto, ma un po’ di galanteria non avrebbe guastato per la miseria!
Credeva che lo avrei incastrato in una storia d’amore, fatta di messaggi e aspettative esagerate?
Che razza di cafone!
Un gran bel cafone, però.
La vocina che ronza nella mia testa mi sbeffeggia.
«Vaffanculo!» giro su me stessa e alla svelta raggiungo il bagno.
Ho solo voglia di una bella doccia, che laverà via tutto l’odore e ciò che resta di questa notte. Dopodiché, caro gondoliere dei miei stivali, finirai dritto nel dimenticatoio.
Quant’è vero che mi chiamo Stella Casiraghi!
Il telefono, ahimè, comincia a suonare ancora prima che io riesca a svegliarmi del tutto e ritrovandomi così a maledire Diego per avermi tenuta sveglia fino a notte fonda.
No! Alt! Non devi più pensare alla notte appena trascorsa.
Osservo il display del telefono che mi avvisa dell’arrivo di un messaggio e non posso fare a meno di ridere.
MISSVOGLIOTUTTOBIANCO. Lo leggerò più tardi.
È così che ho ribattezzato la Signorina Furlan. Ed è così che con la mente ritorno alla serata appena trascorsa e i pensieri su di lui ritornano in maniera prepotente ad affollare la mia testa.
Sento ancora le sue labbra su di me, dannazione.
Cerco di allontanare il ricordo della sua bocca, anche perché se vado avanti così non combinerò un bel niente oggi e non posso giocarmi il biglietto da visita per uno che ci sa fare sotto le lenzuola.
Afferro un tovagliolo di lino e lo passo sotto il getto d’acqua. Sento la mia pelle andare a fuoco. Tampono la fronte, il collo e i polsi, in cerca di un po’ di sollievo da quella che mi sembra essere diventata un’agonia.
Non lo vedrai più, Stella. Mettitelo in testa.
E con questo pensiero decido di mettermi al lavoro, ma soprattutto giurando a me stessa che non ci saranno più distrazioni fino al giorno del matrimonio.
Oggi è la Vigilia di Natale e passo in rassegna i punti salienti della giornata, controllando di avere tutti i numeri di telefono necessari all’organizzazione dell’evento di questa sera.
Oggi mi gioco il tutto per tutto.
Quello che vedranno in quella sala sarà quello che gli ho promesso e sarà il preludio di ciò che vedranno il giorno delle nozze.
Non posso fallire e quello che conta di più, adesso, è mantenere la concentrazione.
Sorseggio una tazza di caffè nero bollente, mentre spunto con attenzione tutte le voci possibili dalla mia lista.
Tableau con assegnazioni posti.
Allestimento sala.
Addobbi floreali.
Bouquet di benvenuto per la madre della sposa e per la futura suocera.
Abete natalizio con decorazioni in vetro di Murano.
Prenotazione di taxi d’acqua per eventuali spostamenti.
Ritiro abiti in sartoria e consegna presso Hotel Danieli.
Ma sento che manca qualcosa.
So che è tutto pronto e che i primi parenti stanno iniziando ad arrivare proprio in questi minuti, ma la sensazione che attanaglia il mio stomaco è di incompletezza.
Sono certa che ci sia qualcosa da rivedere.
«Le Fedi!» salto sulla sedia, inorridita.
Non posso credere di non averci pensato prima.
A quanto pare il desiderio della sposa è quello che sia uno dei testimoni di nozze a tenere le fedi nuziali sino al fatidico giorno, ma è ovvio che il compito di ritirarle spetti a me.
Appena conosciuta la sposa, la prima cosa che ho pensato è stata quella di proporle delle fedi nuziali in platino e rigorosamente Tiffany’s & Co.
Ha il portamento, la classe e lo stile che contraddistingue la clientela di Tiffany.
Di fronte a quella meraviglia disegnata in esclusiva solo per la collezione platino, non ha potuto far altro che accettare, riservandosi solo di consultare lo sposo, che ancora non ho conosciuto di persona.
Ma che oggi finalmente, conoscerò.
Sorrido soddisfatta, consapevole che da adesso in poi, non ci saranno più intoppi.
Poche ore dopo guardo la mia immagine riflessa nello specchio. Devo ammetterlo, non mi dispiace questo modello, fascia ed evidenzia i punti giusti del mio corpo, anche se avrei qualcosa da ridire sul colore.
Bianco.
L’ennesimo vincolo in questo assurdo matrimonio.
Non partecipo mai alle cene private dei miei clienti, il mio compito è quello di assicurarmi che tutto fili liscio durante i preparativi e che gli sposi siano felici, dopodiché mi eclisso come per magia dietro le quinte, per continuare a dirigere i lavori dal backstage.
Questa sera però, farò un’eccezione.
Vista e considerata la mia situazione, mi è stato praticamente impossibile rifiutare l’invito di Elena e poi diciamocelo, quando quella ragazza si mette in testa qualcosa non c’è nulla che la possa fermare.
Precisa, insistente e attenta ai dettagli. Una spina nel fianco, insomma!
Sospiro nervosa, non sono per niente entusiasta di presenziare a questa cena, ma per Elena a quanto pare è di vitale importanza che io ci sia.
Indosso il cappotto rosso – rosso Valentino, ovvio, almeno un tocco di colore diamolo – stringo il cinturino in vita, creando una piccola asola giusto al lato sinistro e afferro la mia pochette.
Magari un aperitivo all’Orange, prima di andare a cena, potrei anche farlo.
Il pensiero mi alletta davvero molto, ma non voglio rischiare di incontrare il fuggitivo, sarebbe come entrare nella tana del lupo, e io non voglio assolutamente metterci piede di nuovo.
Come no, Stella, crediamo anche agli asini che volano, allora!
Eccola qui la mia coscienza. A lei mica posso mentire, la verità è che vorrei rivederlo, ma non per gettarmi tra le sue braccia, figuriamoci! Piuttosto per prenderlo a schiaffi e insegnargli a come ci si comporta con una donna.
Villano che non è altro!
Scuoto la testa, tentando di rimettere al suo posto quell’arrogante e presuntuoso: lì, nel piccolo angolo del dimenticatoio dove l’ho relegato per tutto il giorno.
Decido di concedermi un buon calice di Chardonnay giusto per distendere i nervi; per fortuna la cucina è ben rifornita e dopo aver tirato fuori dalla credenza un bicchiere di cristallo, stappo alla mia salute la miglior bottiglia che sia riuscita a trovare.
Assaporo il gusto frizzante e fruttato e lascio che le bollicine mi dissetino.
Ora sono pronta per affrontare questa serata, qualunque cosa accada. Di certo non potrà andare peggio di così.
Esco di casa, andando alla ricerca di un taxi.
Passo dopo passo mi accorgo, nonostante il buio e la poca visuale, che è l’ultimo taxi disponibile. Decido quindi di affrettare il passo per non lasciarmelo sfuggire.
Non sia mai che mi tocchi prendere un vaporetto, per l’amor del cielo!
Ci sono quasi, sto per lasciarmi alle spalle gli ultimi gradini, quando vedo l’ombra di un ragazzo avanzare veloce e infilarsi nella banchina che porta al mio taxi.
E meno male che non poteva andare peggio di così!
Mi faccio coraggio e inizio a correre, tentando disperata di salvare il salvabile e accaparrarmi la piccola imbarcazione che sta a pochi passi da me.
«Mi scusi!» Alzo la voce e agito una mano per attirare l’attenzione.
Il ragazzo si volta. Indossa uno smoking e la manifattura non credo sia pregiata, ma fa la sua bella figura. I capelli sono pettinati all’indietro e il profumo che emana per un momento mi ricorda qualcosa di famigliare.
«Stella?»
Il suo tono è di sorpresa, mentre il mio volto invece, rappresenta lo stupore più assoluto.
«Marco?» Lo guardo sconvolta.
I suoi occhi si posano ovunque. Mi sta divorando e per la prima volta mi sento davvero in imbarazzo.
«Wow…» La sua voce è carica di sensualità. «Sei bellissima, mia cara.»
Lo guardo per qualche istante ancora, sono davvero stupita di fronte a questo cambiamento.
Il portamento con cui l’ho visto avanzare e come indossa quello smoking… beh, sono una piacevole sorpresa.
Resta comunque davvero troppo giovane per me, anche se forse avrei dovuto essere un po’ più gentile con lui. L’ho liquidato senza tante cerimonie, anche se in effetti è stato lui a essersene andato con quella.
Da quando in qua ti fai venire i sensi di colpa? Mi sa che l’umidità ti ha annacquato il cervello!
«Grazie» annuisco, educata. «Ti va di dividere il taxi con me?» Spero che nonostante quello che è accaduto ieri sera, abbia piacere di trascorrere ancora qualche minuto con me.
«Certamente.» Nella sua risposta c’è una nota di entusiasmo.
Non flirtare, Stella. Stai lontana dai gondolieri!
«Io vado in Piazza San Marco. Tu?»
Marco mi guarda e sorride. «Stessa destinazione.»
«Forza, allora. Andiamo!» Lo esorto facendo cenno con la testa in direzione del taxi, che ondeggia di fronte a noi.
Mi accomodo sul divanetto di pelle, osservo Marco salutare e rivolgere qualche battuta al tassista, si danno una pacca sulla spalla e poco dopo prende posto di fronte a me.
Ci guardiamo a lungo fino a quando lui non fa una lieve risata.
«Scusa per l’altra sera, ero un po’ su di giri.» Il suo sguardo è rammaricato, come se avesse perduto la sua occasione.
«Non preoccuparti, ho già dimenticato tutto» lo rassicuro sorridendo.
Vorrei davvero dimenticare quella notte, per la cronaca.
«Allora, tornerai a trovarci all’Orange?» Il suo tono è cambiato, ora è più amichevole.
Il clima sembra essersi fatto improvvisamente più disteso e finalmente comincio a sentirmi a mio agio. «Uhm… Chissà…» soffoco una risata.
«Allora cambio domanda: la tua serata sarà di lavoro o piacere?» Il suo sorriso è davvero contagioso.
«Diciamo entrambi…» il mio tono è allusivo.
Si gratta il mento, incuriosito dalla mia risposta. «Sei sempre di poche parole» constata sarcastico.
Distolgo lo sguardo per un istante. Vedo le luci di Piazza San Marco farsi sempre più vicine, siamo quasi arrivati e un po’ mi dispiace salutarlo. Avere qualcuno con cui scambiare qualche frase rende tutto più facile, ma il lavoro mi chiama e poi chissà, magari quando tutto sarà finito passerò davvero all’Orange per un altro Cosmopolitan.
«Ci vediamo presto, Marco.»
Poso i piedi sulla banchina, aggrappandomi al corrimano, poi sollevo lo sguardo e rimango estasiata.
I colori che regala questa città sono meravigliosi. È magica, Venezia.
Magia, allo stato puro.
Con le sue calli silenziose e il riecheggio della Laguna che si infrange sul cemento, sembra racchiudere in ogni mattonella un segreto speciale.
«Ci conto.» Marco mi prende per un braccio con delicatezza, aiutandomi a salire i gradini che mi separano dall’imponente Hotel Danieli.
Gli sorrido, salutandolo con un casto bacio sulla guancia.
Ed è proprio mentre alzo lo sguardo per incamminarmi che vedo lui.
Diego.
Sembra abbia appena visto un fantasma, ma noto immediatamente la sua bellezza.
Anche lui indossa uno smoking, proprio come Marco, e non posso fare a meno di chiedermi se anche loro ceneranno all’Hotel Danieli, questa sera.
Lascio che la mia mente registri ogni dettaglio di lui: gli occhi spalancati dallo stupore, la barba rasata con cura, i capelli scompigliati e quelle mani serrate in due pugni ben decisi.
È tremendamente virile l’immagine che mi regala di sé.
I nostri occhi si incrociano, ma solo per un istante, prima di vederlo voltarsi e andarsene con le mani in tasca.
Nemmeno un saluto.
Come se niente fosse accaduto tra noi.
Diego
Passeggio nervoso nell’ampia Sala Ducale dell’hotel Danieli ricca di velluti, broccati e oro. Alzo lo sguardo e mi guardo intorno, è davvero troppo opulenta per i miei gusti, ma l’importante è che sia contenta lei.
Controllo la situazione nervoso, per il momento ancora nessuna traccia di Stella.
Scuoto la testa e riprendo a camminare, mentre le persone iniziano ad affollare la grande sala. Appena mi notano mi salutano tutti: qualcuno mi sorride, altri mi stringono la mano o mi battono una pacca amichevole sulla spalla. Alcuni cercano di fermarsi a parlare, ma l’espressione che ho sul viso gli fa capire che oggi sono di poche parole.
Ho i nervi a fior di pelle, e si vede.
Che situazione del cazzo.
Quando l’ho vista poco fa là fuori, avvolta nel suo cappotto rosso e con il volto accarezzato da quella nuvola di capelli biondi mi si è quasi fermato il cuore. E quel bacio, che ha dato in fretta a Marco. Mi ha fatto ribollire il sangue.
Ma cosa diavolo mi sta facendo, quella donna? Ho perso la testa, ieri sera, e non è da me.
La sua pelle, i suoi capelli, il suo profumo. I suoi gemiti rochi e spezzati, quando le mie dita e la mia bocca l’hanno esplorata. E stare dentro di lei, poi… è stato sublime.
Non mi ero mai sentito così prima d’ora, mai.
Sei proprio uno stronzo, Diego. Si incazzerà a morte, ora, e lo sai. Ma perché diavolo non gliel’hai detto?
Infilo un dito nel colletto della camicia bianca, per allentare un po’ la pressione. Odio lo smoking, l’ho messo solo in rare e particolari occasioni, ma questa purtroppo è una di quelle che lo esige e non potevo certo tirarmi indietro.
Anche se ci ho pensato, visti gli ultimi sviluppi. Lo ammetto.
Mi volto per controllare di nuovo e all’improvviso eccola: è di spalle e si è tolta il cappotto rosso che indossava prima. Il suo magnifico corpo morbido è fasciato da un vestito bianco, che ne esalta le forme e la rende ancora più seducente. Guardo intorno a lei smarrito, esaminando con attenzione le persone con cui sta conversando e un brivido gelido mi percorre la schiena. La sua interlocutrice mi ha visto e mi sta fissando truce, facendomi cenno di avvicinarmi.
Ci siamo. Ora sì che sono cazzi.
Faccio un profondo respiro, mi avvio a grandi passi verso di loro e arrivo proprio dietro le spalle di Stella, facendo in modo che non si accorga della mia presenza. Mi fermo, in attesa di essere presentato. L’odore della sua pelle mi riempie le narici, mi cade lo sguardo sulla sua nuca, che ho stretto con forza questa notte. Che ho baciato e gustato.
Deglutisco, cercando di concentrarmi su quello che sta per accadere e cercando di tenere anche a freno quello che mi si sta risvegliando nei pantaloni.
«Oh, eccoti qui finalmente, ‘more.» Elena si volta verso di me, sorridendomi con dolcezza. «Stella, ti presento finalmente una delle persone più importanti di questo matrimonio e anche più importanti della mia vita.»
Osservo Stella voltarsi verso di me, attendendo la sua espressione di sorpresa e sdegno che avrà dipinta sul volto quando mi riconoscerà. Sono solo attimi, ma sembra che tutto si stia quasi svolgendo al rallentatore. La guardo di profilo mentre si gira, un lieve sorriso le increspa le labbra, ma quando i suoi occhi azzurri incrociano i miei, la bocca le si piega quasi in una smorfia. E il suo sguardo spara fiamme.
«Colui al quale dovrai affidare le nostre fedi: il mio testimone di nozze nonché mio fratello, Diego Furlan.»
… continua
Copyright Renée – Samy P. ©
Questo racconto è di proprietà di Renée di Samy P., è protetto da copyright e ogni riproduzione dell’opera, parziale o integrale, è vietata. È vietata la redistribuzione e la pubblicazione dei contenuti, in qualsiasi forma, non autorizzata espressamente dall’autrice. Tutti i diritti sono riservati ©. L. 633/1941. Questo racconto è un’opera di fantasia di Renée e di Samy P. Ogni riferimento a persone reali esistenti o esistite, fatti, luoghi o avvenimenti è del tutto casuale ed è frutto dell’immaginazione dell’autrice che ne ha fatto uso al solo scopo di dare maggiore veridicità alla storia.